Il Trittico

29 Giugno, 2025

Teatro Comunale di Cesenatico

  • Joshua Collier - Regista

  • Cailin Marcel Manson - Direttore d’Orchestra

  • Piero Parisi - Luci

  • Scilla Cristiano - Direttore di Scena

  • Kathleen Echols - Assistente del Regista

  • Francesco Ricci - Pianist (Il Tabarro/La Bohème)

  • Francesco Triossi - Pianist (Gianni Schicchi)

  • Maria Rabbia - Pianist (Suor Angelica)

Il Tabarro

A Parigi, su un molo a ridosso della Senna è ancorato un vecchio barcone da carico, di cui è proprietario Michele; questi, sposato con Giorgetta, una parigina molto più giovane di lui, sospetta che la moglie, sempre più insofferente e distante, lo tradisca con un altro uomo. In effetti Giorgetta ha una tresca con Luigi, un giovane scaricatore alle dipendenze di Michele: ogni notte, quando Michele si addormenta, la donna accende un fiammifero come segnale per richiamare a sé l'amante dal barcone accanto.

Al tramonto, mentre si concludono le operazioni di scarico e inizia la vita serale parigina, si svolgono le schermaglie del Tinca e del Talpa, scaricatori di Michele, e della Frugola, moglie del Talpa. Michele, intanto, tenta in ogni modo di intenerire Giorgetta, senza sapere che sta per perderla definitivamente: con un pretesto, Luigi gli ha infatti chiesto di attraccare a Rouen il giorno dopo, in modo da poter scappare insieme all'amata.

Michele compie un estremo tentativo di risvegliare la passione di un tempo ricordando a Giorgetta il loro figlioletto, morto l'anno prima, e rievoca i giorni in cui madre e figlio cercavano rifugio nel suo tabarro; Giorgetta reagisce con sdegno e si ritira nella sua stanza in attesa che il marito la segua e si assopisca, per potersi incontrare con Luigi.

(FERMIAMO QUI, NELLA RECITA, MA LA STORIA CONTINUA COSI)

Ormai sfinito e addolorato, Michele indugia chiedendosi chi possa essere l'amante di sua moglie, deciso a vendicarsi. Quando accende la sua pipa, Luigi scambia quel chiarore per il segnale di Giorgetta, e balza sul barcone credendo di trovarci l'amante; Michele lo aggredisce e, dopo averlo riconosciuto, lo afferra per la gola e lo costringe a confessare la tresca, per poi strangolarlo, quindi ne avvolge il corpo esanime dentro al suo tabarro. Attirata dal trambusto, Giorgetta esce dall'imbarcazione e, impaurita, sembra quasi mostrare rimorso nei confronti del marito; Michele la invita allora a rifugiarsi nuovamente nel suo tabarro, solo per costringere la donna a scoprire il cadavere del suo amante.

Gianni Schicchi

1º settembre 1299. Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, perché escogiti un mezzo ingegnoso per salvarli da un'incresciosa situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i propri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla in favore dei suoi parenti.

Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa dell'atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati, dell'aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della «gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta (la celebre romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui suoi passi e a escogitare un piano, che si tramuterà successivamente in beffa. Dato che nessuno è ancora a conoscenza della dipartita, ordina che il cadavere di Buoso venga trasportato nella stanza attigua in modo da potersi lui stesso infilare sotto le coltri, e dal letto del defunto, contraffacendone la voce, dettare al notaio le ultime volontà.

Così infatti avviene, non senza che Schicchi abbia preventivamente assicurato i parenti circa l'intenzione di rispettare i desideri di ciascuno, tenendo comunque a ricordare il rigore della legge, che condanna all'esilio e al taglio della mano non solo chi si sostituisce ad altri in testamenti e lasciti, ma anche i suoi complici («Addio Firenze, addio cielo divino»).

Schicchi declina dinanzi al notaio le ultime volontà e quando dichiara di lasciare i beni più preziosi – la «migliore mula di Toscana», l'ambita casa di Firenze e i mulini di Signa – al suo «caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi», i parenti esplodono in urla furibonde. Ma il finto Buoso li mette a tacere canterellando il motivo dell'esilio e infine li caccia dalla casa, divenuta di sua esclusiva proprietà.

Fuori, sul balcone, Lauretta e Rinuccio si abbracciano teneramente; mentre Gianni Schicchi sorridendo contempla la loro felicità, compiaciuto della sua astuzia.

Suor Angelica

Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un peccato d'amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo più nulla del bambino nato da quell'amore, che le era stato strappato a forza subito dopo la nascita.

L'attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del monastero Suor Angelica trova la zia principessa. Ma la vecchia signora, algida e distante, non è venuta a concederle il sospirato perdono, bensì a chiederle un formale atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio familiare, allo scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola, prossima ad andare sposa. Il ricordo di eventi lontani ma mai cancellati dalla memoria e la possibilità di avvicinare una persona di famiglia spingono Angelica a chiedere insistentemente notizie del bambino.

Ma con implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è morto, consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta di schianto a terra, la vecchia non sa porgere altro conforto che una muta preghiera. Il pianto di Angelica continua, soffocato e straziante, anche dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si fa strada l'idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui per sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca nell'orto del monastero: raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara una bevanda mortale.

D'improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del distillato, Angelica è assalita da un angoscioso terrore: conscia di essere caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un segno di grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e, con gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della morente. Suor Angelica cade riversa dolcemente ed esala l'anima. Il miracolo sfolgora.

La Bohème

La vigilia di Natale, il pittore Marcello sta dipingendo un paesaggio del Mar Rosso, e il poeta Rodolfo sta tentando di accendere il fuoco con la carta di un dramma scritto da lui (ma nel camino manca la legna). Giunge il filosofo Colline, che si unisce agli amici e si lamenta poiché la vigilia di Natale nessuno concede prestiti su pegno. Infine, il musicista Schaunard entra trionfante con un cesto pieno di cibo e la notizia di aver finalmente guadagnato qualche soldo. I festeggiamenti sono interrotti dall'inaspettata visita di Benoît, il padrone di casa venuto a reclamare l'affitto, che però viene liquidato con uno stratagemma. È quasi sera e i quattro bohémiens decidono di andare al caffè Momus. Rodolfo si attarda un po' in casa, promettendo di raggiungerli appena finito l'articolo di fondo per il giornale "Il Castoro".

(COMINCIAMO QUI)

Rimasto solo, Rodolfo sente bussare alla porta. Una voce femminile chiede di poter entrare. È Mimì, giovane vicina di casa: le si è spento il lume e cerca una candela per poterlo riaccendere. Una volta riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della tubercolosi. Quando si rialza per andarsene, si accorge di aver perso la chiave della stanza: inginocchiati sul pavimento, al buio (entrambi i lumi si sono spenti), i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova per primo ma la nasconde in una tasca, desideroso di passare ancora un po' di tempo con Mimì e di conoscerla meglio. Quando la sua mano incontra quella di Mimì ("Che gelida manina"), il poeta chiede alla fanciulla di parlargli di lei. Mimì gli confida d'essere una ricamatrice di fiori e di vivere sola ("Sì, mi chiamano Mimì").

L'idillio dei due giovani, ormai ad un passo dal dichiararsi reciproco amore, viene interrotto dagli amici che, dalla scala, reclamano Rodolfo. Il poeta vorrebbe restare in casa con la giovane, ma Mimì propone di accompagnarlo e i due, che dal "voi" formale del dialogo precedente, sono passati al "tu" degli innamorati, dopo essersi baciati, lasciano insieme la soffitta inneggiando all'amore ("O soave fanciulla", anche conosciuta come "Amor, amor").